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DONA IL 5 PER 1000 A COMMA 22 PER DIFENDERE I TUOI DIRITTI
Per aiutarci a difendere i tuoi diritti dagli abusi della pubblica amministrazione e dei gestori di servizi pubblici, puoi destinare il cinque per mille dell’Irpef all’associazione Comma 22 odv: non ti costa nulla, devi solo compilare il modello 730-1, oppure le analoghe schede per la destinazione del cinque per mille allegate al modello redditi persone fisiche o alla certificazione unica, per tutti coloro che sono dispensati dall’obbligo di presentare la dichiarazione.
Per destinare il tuo 5 per 1000 a Comma 22 odv:
- compila la scheda per la destinazione del 5 per mille;
- firma nel riquadro indicato come “SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE ISCRITTI NEL RUNTS, DI CUI ALL’ART. 46, C. 1, DEL D.LGS. 3 LUGLIO 2017, N. 117, COMPRESE LE COOPERATIVE SOCIALI ED ESCLUSE LE IMPRESE SOCIALI COSTITUITE IN FORMA DI SOCIETA’, NONCHE’ SOSTEGNO DELLE ONLUS ISCRITTE ALL’ANAGRAFE”;
- indica nel riquadro il codice fiscale di Comma 22 odv: 97882570589.
SPID: gli Identity Provider con il loro ricatto ottengono 40 milioni di euro
Con la pubblicazione della legge 41 del 21 aprile 2023 si è conclusa un’altra puntata della vicenda SPID, con l’approvazione di una norma (art. 18bis) che regala 40 milioni di euro alle società private che gestiscono SPID (il Sistema Pubblico di Identità Digitale).
Alla fine ha ottenuto i suoi frutti il ricatto portato avanti dagli Identity Provider (con la connivenza di AGID e Governo), che avevano minacciato di interrompere il servizio, bloccando così l’accesso ai servizi online delle pubbliche amministrazioni.
Tutto si è svolto nella più totale assenza di trasparenza: AGID si è ben guardata dal rispondere alla richiesta di accesso civico presentata dall’associazione Comma 22, con la quale si chiedeva di conoscere se e quando gli Identity Provider abbiano comunicato l’intenzione di recedere dalle convenzioni sottoscritte con AGID (nessuna delle quali in scadenza al 31 dicembre 2022), in base a quale atto le medesime convenzioni sarebbero state prorogate, nonché di conoscere con quale strumento le convenzioni sarebbero state prorogate fino al 23 aprile 2023.
L’assenza totale di trasparenza permane tuttora, dato che sul sito dell’AGID sono tuttora pubblicate le convenzioni scadute nel corso del 2022 (che per effetto del rinnovo tacito dovevano essere rinnovate per altri cinque anni), non c’è traccia di provvedimenti di proroga antecedenti o posteriori alla fatidica data del 23 aprile 2023, sicché non è dato sapere in base a che cosa attualmente gli Identity Provider stiano svolgendo le funzioni di SPID.
Per questo l’associazione Comma 22 ha deciso di fare ricorso all’ANAC (Autorità Nazionale Anti Corruzione) per la mancata risposta da parte dell’AGID alla richiesta di accesso civico generalizzato.
Comma 22 ritiene inoltre opportuno presentare un esposto alla Procura della Corte dei Conti perché sia valutato il comportamento dell’AGID nel vigilare sul rispetto delle convenzioni, scadute prima del 31 dicembre 2022 e quindi soggette a tacito rinnovo, sul rispetto della procedura in caso di recesso da parte degli operatori, e comunque su quali garanzie siano state previste a tutela dell’interesse della pubblica amministrazione.
Idee per uno spazio pubblico possibile 15 aprile 2023 Casa del Municipio Roma 8°
Il 15 aprile 2023 si è svolto presso la Casa del Municipio Roma 8° il convegno:
Idee per uno spazio pubblico possibile – Fra mobilità, viabilità e spazi pubblici attraversabili
La registrazione del convegno è disponibile su Instagram.
Un sentito ringraziamento per la partecipazione va a Giulia Papa (Public Space is Not Only Yours), Carmelo Comisi (Disability Pride Network), Andrea Maria D’Emidio (Odissea Quotidiana), Anna Becchi (Streets for Kids), Martina Testa (cons. III Municipio), Daniele Giustozzi (cons. XIV Municipio), Piero Rovigatti (Uni Chieti Pescara), Gaia Celeste, Flavia De Gregorio (cons. I Municipio), Simonetta Novi (cons. VIII Municipio), Matteo Bruno (cons. VIII Municipio), Francesca Solarino (Comitato di Quartiere Montagnola), Manolo Palazzotti (Comitato Parchi Colombo), Roberta Cannata (BiciLiberaTutti).
SPID o CIE o altro ancora: basta giocare sulla pelle dei cittadini
A dicembre scorso avevamo denunciato come l’intervento del sottosegretario all’innovazione tecnologica Alessio Butti sulla intenzione di superare lo SPID sembrasse avere l’obiettivo di dare spazio alle richieste della lobby degli identity provider di un rientro economico (quantificato in 50 milioni di euro) delle risorse investite per istituire e gestire il sistema SPID.
Gli interrogativi sulle opache modalità di gestione della vicenda si intensificano di fronte all’improvvisa drammatizzazione del confronto in atto. Vista l’assenza di comunicati ufficiali del Governo, nonché dell’AGID, che è il soggetto pubblico deputato alla gestione dello SPID, occorre far riferimento agli articoli di stampa. Da quello che si legge, a esempio su Wired, le convenzioni con gli identity provider sarebbero scadute quasi tutte il 31 dicembre scorso e sarebbero state prorogate d’ufficio dal Governo fino al 23 aprile 2023.
Eppure sul sito dell’AGID appare un elenco delle convenzioni sottoscritte dai gestori di identità digitale attualmente in corso di validità, con le relative date di sottoscrizione, diversificate e risalenti quasi tutte a ottobre/novembre 2017, tranne quella con Poste Italiane, sottoscritta il 18 dicembre 2017.
Stando a quanto pubblicato sul sito AGID, tutte le convenzioni dovrebbero essere in corso di validità, dato che hanno tutte una durata di cinque anni, che per diverse è previsto il rinnovo automatico per altri cinque anni, e che per tutte è previsto, in caso di recesso da parte degli identity provider, un preavviso di almeno un mese. Del resto, nella lettera inviata il 19 dicembre scorso dal sottosegretario Butti al Corriere della Sera, non c’è alcun riferimento alle scadenze delle convenzioni, ma si parla di esiti incoraggianti dei confronti con gli stakeholder coinvolti e di puntualizzazioni nei prossimi mesi con estrema trasparenza.
Ancora più misterioso appare quindi l’annunciato riferimento alla data del 23 aprile 2023 come termine delle attività di gestione dello SPID da parte dei provider, sia perché non c’è alcun riferimento nel DPCM istitutivo, né nello schema di convenzione pubblicato sul sito AGID, a un possibile intervento d’ufficio da parte di AGID sulle convenzioni, sia perché sul sito non è pubblicato alcun documento del genere.
Per questi motivi, l’associazione Comma 22 ODV ha presentato una richiesta di accesso generalizzato ai sensi dell’art. 5, comma 2, del Decreto Legislativo n. 33/2013.
Tutto questo attiene alla rivendicazione di un minimo di trasparenza che sarebbe d’obbligo su tematiche come questa, che impattano sulla vita e sui diritti di milioni di cittadini.
Cittadini che invece vengono utilizzati come ostaggi in funzione degli interessi delle varie lobby legate al business della digitalizzazione e che assistono impotenti ad un uso spregiudicato degli strumenti di accesso ai servizi pubblici online per favorire i privati.
Vale la pena di ricordare che:
– SPID non è stato imposto agli identity provider, ma è nato da una iniziativa dei privati che credevano erroneamente che il sistema sarebbe stato adottato oltre che dalle pubbliche amministrazioni, alle quali era concesso in uso gratuitamente, anche dalle imprese private che invece lo hanno praticamente ignorato;
– SPID non è stato scelto dai cittadini, che fino a quando hanno potuto hanno usato strumenti più semplici per l’accesso ai servizi online, come il PIN INPS, ma è stato reso obbligatorio;
– per impedire l’utilizzo di strumenti alternativi, è stato previsto per la carta d’identità elettronica (CIE) solo il livello di sicurezza 3, che impone l’utilizzo del supporto fisico e del relativo lettore NFC;
– per impedire l’utilizzo della tessera sanitaria – carta nazionale dei servizi (CNS) per l’accesso ai servizi pubblici online, questa viene emessa senza più il chip.
L’aspetto più incredibile di questa vicenda è che ora si cominci a ipotizzare non più il passaggio da SPID a CIE, ma addirittura, pur di mantenere i privati nel business, l’adozione di una nuova app, per la quale sarebbe già pronto il nome (Identità Digitale Nazionale – IDN) e il bando di gara da pubblicare entro marzo.
Si continuerebbe così lo sperpero di denaro pubblico per iniziative fallimentari come l’app IO o l’app IMMUNI, che hanno solo creato complicazioni burocratiche, difficoltà di applicazione e nessun vantaggio o semplificazione che comportasse una migliore fruibilità dei diritti dei cittadini.
L’associazione Comma 22 rivolge un appello alle forze politiche e alle associazioni di difesa dei diritti dei cittadini perché cessino queste vessazioni nei confronti dei cittadini e questo sperpero di risorse pubbliche.
Scritto da: Comma22Stop ai certificati online: si torna alle file allo sportello
È passato poco più di un anno da quando, in occasione del lancio del servizio di rilascio dei certificati online dal 15 novembre 2021, illustre testimonial il Presidente della Repubblica Mattarella, si annunciava per l’ennesima volta la fine di file e bolli.
Dal 3 gennaio è apparso sul sito del Ministero dell’Interno, Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR) il seguente avviso:
La richiesta dei certificati in bollo con esenzione dell’imposta ai sensi dell’art. 62, comma 3 del CAD, è temporaneamente sospesa. Per questa tipologia di certificati si prega di rivolgersi presso gli uffici di anagrafe di qualsiasi comune.
Cos’è successo?
L’esenzione dall’imposta di bollo per i certificati online era limitata agli anni 2021 e 2022 e il Governo Meloni non ha prorogato l’esenzione al 2023, operando una scelta le cui motivazioni sono difficilmente comprensibili, visto l’aggravio di lavoro che si prospetta per gli uffici anagrafe dei comuni, di nuovo alle prese con un forte afflusso di cittadini; purtroppo i disagi per i cittadini non hanno alcun peso nell’orientare le scelte del Governo.
Tranne rare eccezioni, l’inspiegabile marcia indietro del Governo su un servizio che semplificava la vita ai cittadini, è passata sotto silenzio, anche perché dal Ministero dell’Interno si è cercato di addossare la responsabilità di questo stop ad alcune criticità riscontrate dal Garante per la protezione dei dati personali nelle modalità di accesso alla piattaforma e ai dati dell’Anagrafe nazionale della popolazione residente (Anpr). Nei fatti, il parere dell’Autorità Garante è stato espresso con provvedimento n. 367 del 14 ottobre 2021, e non sollevava alcun problema sui certificati richiesti dai cittadini, ma solo sulle certificazioni emesse da giornalai e tabaccai.
Sembra di capire così, che anche in questa vicenda i cittadini siano ostaggio delle lobby di categoria, come nel caso dell’annuncio del superamento dello SPID, utilizzando la pressione dei cittadini per andare incontro alle richieste che provengono in questo caso da giornalai e tabaccai.
Considerato che il Presidente Mattarella ha aderito alla campagna per il lancio del servizio dei certificati online e che anche nel discorso di fine anno ha sottolineato come l’uso delle tecnologie digitali possa semplificare la vita dei cittadini, l’associazione Comma 22 rivolge un appello al Presidente della Repubblica perché sia ripristinato il servizio di certificazione online.
Scritto da: Comma22Addio SPID? Ora i gestori dell’identità digitale battono cassa
Ha suscitato clamore l’annuncio del sottosegretario all’innovazione tecnologica Butti di voler superare gradualmente lo SPID per avere solamente una identità digitale, nazionale e gestita dallo Stato, convergendo sulla CIE (carta d’identità elettronica).
Come limiti dello SPID il sottosegretario aveva indicato il fatto che l’identità digitale sia gestita da privati e che abbia una scarsa diffusione tra gli anziani.
Tra gli aspetti negativi della CIE, il sottosegretario ha indicato i tempi lunghi di attesa per ottenere la carta, il fatto che ci si debba recare di persona allo sportello del Comune per richiederla, ed il costo per il cittadino (erroneamente quantificato in € 16,79, anziché, com’è realmente, € 22,21).
Stando alle dichiarazioni del sottosegretario, l’obiettivo del Governo, per migliorare la CIE, è che questa venga rilasciata ”in remoto, a costo zero e in 24 ore”.
Nei resoconti di stampa e tv si sono alternate posizioni a favore dell’uno o dell’altro strumento, o della loro possibile coesistenza. Va ricordato che già in precedenza c’erano stati tentativi, in particolare dalla ministra Pisano, di convergere sulla CIE come unica identità digitale, che però erano stati prontamente stoppati dalla lobby degli identity provider.
In tali interventi sui mass media vengono messi a confronto i numeri (ballerini) di credenziali SPID e di CIE rilasciate, e il loro utilizzo, omettendo di ricordare che:
– l’utilizzo di SPID è stato forzato dai governi, prima prevedendone l’utilizzo esclusivo per accedere ad alcuni servizi online (bonus mobilità, bonus cultura, carta del docente, bonus per i seggiolini antiabbandono in auto, etc.), poi, visto che gli italiani si ostinavano a non scegliere volontariamente SPID, rendendolo obbligatorio per accedere ai servizi online delle pubbliche amministrazioni e cancellando tutte le credenziali preesistenti a SPID, delle quali nessuna pubblica amministrazione aveva denunciato limiti o lacune;
– l’utilizzo della CIE per l’accesso ai servizi online delle pubbliche amministrazioni è stato previsto solo per il livello di sicurezza massimo, con tutte le complicazioni che ciò comporta e che derivano dall’utilizzo del supporto fisico, vale a dire avere a disposizione uno smartphone con lettore nfc o un lettore di smartcard nfc; una scelta fatta apposta per disincentivare l’utilizzo della CIE per l’accesso ai servizi online, in barba al diritto dei cittadini a procedure semplici; ora si mettono a confronto i tempi per accedere con SPID e con CIE, ma nessuno spiega per quale motivo per l’accesso alla stessa procedura siano richiesti livelli di sicurezza diversi;
– nel confronto tra le credenziali SPID e le CIE rilasciate si indica solo il dato globale delle credenziali rilasciate da tutti gli identity provider, comprensivo così di duplicazioni delle credenziali in capo a uno stesso soggetto e delle credenziali cessate per inutilizzo o altro; sicuramente se si confrontasse il numero di persone fisiche in possesso di credenziali SPID valide e il numero di persone fisiche in possesso di CIE, quest’ultimo sarebbe già ora superiore al primo; va infine evidenziato che comunque nell’arco dei prossimi quattro anni si arriverà inevitabilmente al 100% di cittadini in possesso di CIE, visto che in questo arco di tempo dovranno essere sostituite tutte le carte d’identità cartacee in scadenza.
A rendere ancor più surreale il dibattito contribuisce il fatto, deliberatamente omesso dalla maggior parte dei commentatori, tranne rare eccezioni, che già il governo Draghi aveva avviato con un decreto emanato alla fine del mandato, il processo di semplificazione della CIE, prevedendo oltre al livello elevato di sicurezza, anche il livello significativo, comunemente usato con lo SPID per l’accesso ai servizi online, senza più utilizzo della carta fisica.
Sembra di capire che a motivare la scelta di superare lo SPID sia la consapevolezza finalmente ammessa dai provider che SPID è un “un progetto privo di reali ritorni sugli investimenti iniziali”, come hanno osservato autorevoli commentatori.
A confermare questa chiave di lettura contribuiscono le dichiarazioni rilasciate al Corriere della Sera dal presidente di AssoCertificatori Carmine Auletta “Abbiamo investito complessivamente una cifra prossima ai cento milioni di euro per costruire il modello Spid che si sarebbe dovuto ripagare con le transazioni dei privati, perché le Pa ne beneficiano senza pagare. Se si cambia ora, per noi risulterà un investimento senza ritorno”. Nel nostro Paese il rischio d’impresa deve sostenerlo sempre lo Stato: i profitti ai privati, le perdite al pubblico.
Eppure non ci voleva un genio dell’imprenditoria per capire che i privati molto difficilmente sarebbero stati disponibili a mettere in mano ad altri, spesso concorrenti come Poste It, le chiavi di accesso ai propri servizi on line, con tutti i rischi connessi ai danni in caso di malfunzionamento dell’intermediario dell’identificazione, come denunciavamo più di due anni fa.
Suscita perciò preoccupazione il fatto che il sottosegretario Butti parli di una migrazione da Spid a Cie, attraverso una “transizione negoziata” con i gestori privati di identità digitali, che per salvaguardare presunte esigenze dei privati proseguirebbe su una politica di confusione, di duplicazioni e sprechi quale quella portata avanti finora, sempre a vantaggio dei privati, prescindendo da esigenze di economicità e sicurezza dei dati che dovrebbero essere prioritarie per le amministrazioni pubbliche.
A Roma consegnati in ritardo i bollettini per il pagamento della Tassa Rifiuti: perché il Comune di Roma impedisce la domiciliazione bancaria?
Stanno arrivando in questi giorni, a migliaia di contribuenti romani, gli avvisi di pagamento della TaRi (Tassa per la gestione dei rifiuti urbani) per il secondo semestre 2022, che recano come data di scadenza il 20/12/2022.
Sul sito dell’AMA, si può trovare pubblicato un avviso che informa “che gli utenti avranno 15 giorni dal momento della ricezione della bolletta per mettersi in regola con i pagamenti senza che venga applicato alcun interesse di mora”.
Poiché l’AMA è pienamente consapevole dei ritardi nella consegna dei bollettini, per rispetto degli utenti l’indicazione del termine dei 15 giorni dal ricevimento dell’avviso di pagamento andrebbe inserito nell’avviso di pagamento
Quello che ancor più risulta incomprensibile, è perché il Comune di Roma si ostini a impedire la domiciliazione bancaria del pagamento della TaRi, che era stata adottata a Roma da più di centomila utenti fino al passaggio, nel 2020, al più costoso e complicato sistema di pagamento tramite PagoPa.
Tutto questo mentre una norma, sempre del 2020, prevede una riduzione fino al 20% delle aliquote e delle tariffe delle entrate tributarie e patrimoniali degli enti locali a favore dei contribuenti che scelgano di pagare mediante la domiciliazione bancaria.
L’associazione Comma 22 intende proporre alle altre associazioni di tutela degli utenti e consumatori una petizione al Sindaco Gualtieri per ripristinare la domiciliazione bancaria come modalità di pagamento della TaRi e per applicare ai contribuenti che sceglieranno questa forma di pagamento la riduzione della tariffa prevista dall’art. 118-ter del decreto legge n. 34/2020, come convertito dalla legge n. 77/2020.
*****
Testo del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, coordinato con la legge di conversione 17 luglio 2020, n. 77
Art. 118 ter
Riduzione di aliquote e tariffe degli enti territoriali in caso di pagamento mediante domiciliazione bancaria.
1. Gli enti territoriali possono, con propria deliberazione, stabilire una riduzione fino al 20 per cento delle aliquote e delle tariffe delle proprie entrate tributarie e patrimoniali, applicabile a condizione che il soggetto passivo obbligato provveda ad adempiere mediante autorizzazione permanente all’addebito diretto del pagamento su conto corrente bancario o postale.
Gli elettori hanno il diritto di sapere chi andranno a votare il 25 settembre
Un elemento rilevante per la scelta degli elettori il prossimo 25 settembre è la conoscenza di quale sia il candidato o la candidata che si andrà a votare.
L’esigenza di conoscere quali siano i candidati è ancor più rilevante nel caso del voto a una lista che fa parte di una coalizione, in quanto, non essendo possibile il “voto disgiunto”, il voto attribuito a una lista per il proporzionale comporta necessariamente il voto al candidato proposto dalla coalizione per l’uninominale.
Condizione essenziale per conoscere quali siano i candidati è sapere in quale collegio elettorale, uninominale e plurinominale, per la Camera e per il Senato, l’elettore andrà a votare.
Ora, per effetto della riforma costituzionale[1] che ha ridotto il numero dei parlamentari a 400 deputati e 200 senatori, i collegi elettorali sono stati completamente ridisegnati[2], rendendo non più attuali le indicazioni contenute nella tessera elettorale.
La legge[3] prevede che “in caso di variazione dei dati relativi al collegio o circoscrizione amministrativa nei quali l’elettore può esprimere il voto” l’ufficio elettorale comunale “provvede a trasmettere per posta, all’indirizzo del titolare, un tagliando di convalida adesivo riportante i relativi aggiornamenti, che il titolare stesso incolla all’interno della tessera elettorale, nell’apposito spazio.”.
Nonostante siano trascorsi quasi due anni dalla rideterminazione dei collegi elettorali uninominali e plurinominali, nessun Comune ha provveduto a comunicare agli elettori il collegio uninominale e plurinominale di appartenenza, come prevede la legge.
Su 14 città metropolitane, solo Roma, Napoli e Palermo hanno almeno pubblicato sui loro siti una tabella di corrispondenza tra le sezioni elettorali e i collegi elettorali di appartenenza.
La Presidenza del Consiglio si è limitata a pubblicare sulla pagina web: I nuovi collegi elettorali La definizione dei nuovi collegi elettorali le tabelle allegate al Decreto Legislativo 177/2020 (246 pagine pdf), mentre l’amministrazione competente, la Direzione Generale dei Servizi Elettorali del Ministero dell’Interno si è limitata a pubblicare, sulla pagina web: Trasparenza – Elezioni politiche 25 settembre 2022, gli elenchi dei candidati (4.196 per i collegi uninominali e plurinominali della Camera e 2.152 candidati per i collegi uninominali e plurinominali del Senato).
L’associazione Comma 22 chiede che venga rispettata la legge e siano comunicati agli elettori i collegi elettorali di appartenenza; in alternativa, chiede che venga messa a disposizione degli elettori un’applicazione nazionale che consenta di conoscere, dal numero di sezione elettorale, i candidati che possono essere votati.
[1]Legge Costituzionale 19 ottobre 2020, n. 1
[2]Decreto Legislativo 23 dicembre 2020, n. 177, Determinazione dei collegi elettorali uninominali e plurinominali per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 321 del 29 dicembre 2020, S.O. n. 45.
[3]Decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 2000, n. 299, Regolamento concernente l’istituzione, le modalità di rilascio, l’aggiornamento ed il rinnovo della tessera elettorale personale a carattere permanente, art. 4, comma 2.
Scritto da: Comma22DONA IL 5 PER 1000 A COMMA 22 PER DIFENDERE I TUOI DIRITTI
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La digitalizzazione sulle spalle dei cittadini: la carta d’identità elettronica
Ormai da cinque anni la maggior parte dei Comuni rilascia ai cittadini ai quali è scaduta la carta d’identità cartacea, esclusivamente la “nuova” carta d’identità elettronica (CIE).
A oggi sono state emesse più di 26 milioni di CIE ed è immaginabile che nei prossimi cinque anni si arrivi a una sostituzione pressoché totale della vecchia carta d’identità con la nuova CIE.
Da ottobre 2021 la quasi totalità delle pubbliche amministrazioni ha disattivato le credenziali per l’accesso ai servizi online, come il PIN per l’INPS o Fisconline per l’Agenzia delle Entrate e da allora la CIE è uno dei tre strumenti utilizzabili per l’accesso ai servizi online delle pubbliche amministrazioni, con SPID e CNS (Carta Nazionale dei Servizi).
Per quanto riguarda la CIE, il primo problema che si pone è la complessità dello strumento.
Nel rispetto della normativa europea sono previsti tre livelli di sicurezza per le credenziali di accesso ai servizi online: basso (1), significativo (2), ed elevato (3).
Per l’accesso con SPID il livello di sicurezza richiesto è il secondo (significativo) o a due fattori (una username e una password temporanea rilasciata attraverso l’utilizzo di un cellulare abbinato a un indirizzo email). Poiché il livello di sicurezza è determinato sulla base delle caratteristiche del servizio richiesto, è ovvio che il livello di sicurezza dovrebbe essere lo stesso quali che siano le credenziali utilizzate per la richiesta di accesso, SPID, CIE o CNS.
Invece, incredibilmente, l’utilizzo della CIE prevede solo il livello di sicurezza elevato: per poter accedere ai servizi online, la CIE deve essere letta da uno smartphone dotato di tecnologia NFC (near field communication, vale a dire che lo smartphone deve leggere il segnale radio inviato dalla CIE). Questa complicazione appare ingiustificabile, dato che la CIE è già abbinata a un indirizzo di posta elettronica e a un cellulare, e che pertanto non dovrebbe essere difficile prevedere anche per la CIE una procedura di accesso con livello 2 (significativo), di certo più agevole dell’attuale sistema.
Tanto più ingiustificabile appare la scelta di complicare l’utilizzo della CIE dato che a regime, cioè entro cinque anni, la quasi totalità della popolazione avrà la disponibilità della CIE: nei fatti, questa scelta disincentiva l’utilizzo della CIE per l’accesso ai servizi online delle pubbliche amministrazioni e incentiva l’utilizzo dello SPID, indirizzando l’utenza verso i fornitori di servizi privati.
Per di più, oltre alla irrazionale complicazione dello strumento, la CIE ha un costo esorbitante e ingiustificato di 22,21 euro, quadruplicato rispetto alla carta d’identità cartacea (5,42 euro).
Inoltre, alcuni Comuni, come Roma Capitale, continuano ad applicare un Regio Decreto del 1940[1] e a richiedere il raddoppio dei diritti di segreteria in caso di smarrimento, furto o deterioramento della carta d’identità, arrivando a far pagare la CIE 27,63 euro, nonostante una circolare del Ministero dell’Interno di trenta anni fa abbia chiarito che non esiste più il duplicato della carta d’identità e che si tratta in ogni caso di un nuovo documento.
Resta irrisolto, infine, il problema dei tempi di rilascio, nonostante i cittadini italiani abbiano versato alle Casse dello Stato e dei Comuni già più di mezzo miliardo di euro per ottenere la CIE.
A gennaio 2019, sul sito di Agenda Digitale, è stata pubblicata una rilevazione dei tempi di attesa nelle principali città per avere la CIE, con risultati disastrosi: una media di tre mesi a Roma e due mesi a Torino.
A distanza di tre anni, come segnalano vari articoli di stampa, la situazione è peggiorata, e le attese sono arrivate a superare i sei mesi a Roma e i sette mesi a Torino, solo per fare due esempi.
Eppure, considerato che con l’entrata a regime dell’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR) tutti i dati necessari all’emissione della CIE sono già in possesso della pubblica amministrazione, non dovrebbe essere difficile semplificare la procedura per il rilascio della CIE.
[1] Regio Decreto 6 maggio 1940, n. 635 – Approvazione del regolamento per l’esecuzione del testo unico 18 giugno 1931, n. 773, delle leggi di pubblica sicurezza.
Art. 291
La carta d’identità è esente da tassa di bollo.
All’atto del rilascio o del rinnovo, i Comuni sono autorizzati ad esigere oltre che i diritti di segreteria, di cui all’allegato n. 5 al regolamento per l’esecuzione della legge comunale e provinciale, un diritto non superiore a lire una esentandone le persone iscritte nell’elenco dei poveri.
In caso di smarrimento, il duplicato della carta d’identità è soggetto al pagamento di doppio diritto.
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