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Petizione alla Sindaca di Roma per pagare la TaRi con la domiciliazione bancaria
Chiediamo al Comune di Roma di ripristinare la possibilità di pagare la Tariffa Rifiuti (TaRi) con la domiciliazione bancaria e di incentivare questo metodo di pagamento con la riduzione del 20% della tariffa.
Nello scorso mese di agosto, oltre centomila contribuenti romani hanno ricevuto dal Comune di Roma una comunicazione nella quale si annunciava la nuova modalità di riscossione della TaRi attraverso il nuovo sistema Pago PA e l’abolizione del pagamento tramite la domiciliazione bancaria, a causa del passaggio della riscossione da AMA spa a Roma Capitale. La domiciliazione bancaria permette di pagare le spese periodiche, come bollette o rate di prestiti, attraverso il rilascio di una delega alla banca o alla posta, che provvedono al prelievo sul conto corrente della somma indicata, nell’ultimo giorno utile. L’intestatario del servizio riceve la bolletta o la comunicazione della rata, in tempo utile a sospendere il pagamento nel caso riscontri qualche anomalia. La domiciliazione bancaria è particolarmente utile per anziani e pensionati: proprio per i disagi creati, in particolare, a questi cittadini, la scelta del Comune di Roma ha suscitato giuste proteste. Ovviamente la domiciliazione bancaria è utile anche per le pubbliche amministrazioni per riscuotere le proprie entrate tributarie, al punto che risulta conveniente incentivare l’adesione a tale modalità di pagamento con l’offerta di uno sconto sull’importo dovuto, come ha fatto la Regione Lombardia.
In seguito alle proteste, l’Autorità Antitrust, con una nota indirizzata al Presidente del Consiglio e al Presidente dell’ANCI, ha dichiarato che è possibile continuare a usare la domiciliazione bancaria anche in presenza del Sistema PagoPa; l’Autorità Antitrust ha inoltre richiamato l’attenzione sulla norma introdotta dal decreto legge “rilancio”, che prevede una riduzione fino al 20% delle aliquote e delle tariffe delle entrate tributarie e patrimoniali degli enti locali a favore dei contribuenti che scelgano di pagare mediante la domiciliazione bancaria.
Il Presidente dell’ANCI con una nota del 13 novembre scorso ha dichiarato di condividere quanto affermato dall’Autorità Antitrust, affermando peraltro l’inesistenza di una esclusività del sistema PagoPa per gli Enti Locali.
Nei prossimi giorni dovranno essere emessi gli avvisi di pagamento della TaRi relativa al secondo semestre 2020, da versare entro il 31 dicembre 2020.
L’associazione Comma 22 lancia una petizione alla Sindaca di Roma Virginia Raggi per ripristinare la domiciliazione bancaria come modalità di pagamento della TaRi e per applicare ai contribuenti che sceglieranno questa forma di pagamento la riduzione del 20% prevista dall’art. 118-ter del decreto legge n. 34/2020, come convertito dalla legge n. 77/2020.
Per firmare la petizione clicca qui.
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Testo del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, coordinato con la legge di conversione 17 luglio 2020, n. 77
Art. 118 ter
Riduzione di aliquote e tariffe degli enti territoriali in caso di pagamento mediante domiciliazione bancaria.
1. Gli enti territoriali possono, con propria deliberazione, stabilire una riduzione fino al 20 per cento delle aliquote e delle tariffe delle proprie entrate tributarie e patrimoniali, applicabile a condizione che il soggetto passivo obbligato provveda ad adempiere mediante autorizzazione permanente all’addebito diretto del pagamento su conto corrente bancario o postale.
Bonus mobilità, tante domande e allora la novità: la fila online. E alla prima prova di resistenza SPID fa fiasco.
Solo in Italia può succedere di mettersi in fila on line.
Cosa è successo?
Il decreto legge <Rilancio> di luglio ha previsto un <bonus mobilità> fino a 500 euro per l’acquisto di una bici o di un monopattino.
Per gestire le domande di rimborso per chi aveva già effettuato l’acquisto dal 4 maggio al 2 novembre oppure le richieste di un voucher per chi aveva intenzione di farlo entro il 31 dicembre, il Ministero dell’Ambiente ha pensato bene di predisporre una procedura informatica per la ricezione delle richieste, da accettare fino a esaurimento dei fondi stanziati dalla legge (215 milioni di euro), messa in linea martedì 3 novembre.
Ovviamente, in questa maniera si è creato un <click day>, già sperimentato dall’INPS in occasione della presentazione delle richieste per il bonus babysitting e per l’indennità Covid 19 da 600 euro per i lavoratori autonomi; così centinaia di migliaia di utenti hanno aperto contemporaneamente l’applicazione, alle ore 9 del 3 novembre, e, per evidenti limiti dell’applicazione, sono stati messi in una coda virtuale, dove si poteva leggere di avere davanti 500.000/600.000 utenti.
Ma, dopo un’attesa di qualche ora, quando finalmente arrivava il turno per poter inserire i propri dati, ecco la beffa: non era possibile accedere perché era saltato il sistema di autenticazione tramite SPID, a partire dallo SPID rilasciato da Poste Italiane, fornitore dell’80% delle credenziali SPID. Ma anche SIELTE, il secondo identity provider, aveva il sistema in palla. Così lo sfortunato utente tornava alla casella di partenza, in fondo alla fila.
Ovviamente i più penalizzati sono stati quelli che l’acquisto l’avevano già effettuato e sono stati esclusi dal rimborso, essendo ormai esaurito lo stanziamento previsto dal decreto legge.
L’aspetto più grave è che il <crash> del sistema di autenticazione SPID ha impedito a catena l’accesso a tutti i siti delle pubbliche amministrazioni che hanno previsto SPID come unico strumento di accesso, peraltro in violazione delle norme che prevedono che ai servizi della pubblica amministrazione si possa accedere anche con la carta nazionale dei servizi e con la carta d’identità elettronica.
L’episodio deve rappresentare un segnale di pericolo per quello che potrebbe capitare se effettivamente tutti i servizi delle pubbliche amministrazioni dovessero, dal 28 febbraio 2021, essere accessibili solo tramite SPID.
L’associazione Comma 22 ODV chiede che venga ripensata la corsa verso l’obbligatorietà di SPID, che sta creando pesanti disagi agli utenti dei servizi pubblici, che devono poter scegliere lo strumento più semplice da usare: un primo passo sarebbe il rispristino del PIN INPS, anche per i nuovi utenti che non possono più richiederlo dal 1 ottobre scorso.
Scritto da: Comma22ATTENZIONE! Per il pagamento della TARI DI ROMA devi selezionare “AMA-Roma Capitale” con Codice CBILL 993R8 e non “Roma Capitale”
Questo è l’avviso che appare da qualche giorno nella sezione pagamenti online di una delle maggiori banche italiane, vediamo che cosa è successo.
Come avevamo segnalato nel mese di agosto il Comune di Roma comunicava a più di centomila contribuenti la impossibilità di continuare a pagare la TARI (TAriffa RIfiuti) attraverso la domiciliazione bancaria.
La decisione era motivata dal passaggio della riscossione da AMA Spa al Comune di Roma Capitale, con il conseguente obbligo di utilizzare il circuito PagoPA; in realtà, le scelte effettuate da altre amministrazioni, come il Comune di Modena, dimostrano che la domiciliazione bancaria può benissimo coesistere con il passaggio a PagoPa. Si sarebbe trattato semplicemente di trasferire al Comune di Roma la titolarità delle deleghe rilasciate dai contribuenti alle banche. Troppo complicato? Si fa prima a scaricare tutto sui contribuenti, che per di più con la domiciliazione bancaria non pagavano commissioni e con PagoPa devono pagare una commissione per ogni versamento.
Come se non bastasse il “disguido” creato ai contribuenti che avevano scelto la domiciliazione bancaria, il Comune ha pensato bene di complicare la vita anche ai contribuenti che utilizzavano il pagamento on line con il MAV (acronimo improbabile di <pagamento Mediante AVviso>). Così al posto dei bollettini MAV sono stati inviati gli avvisi di pagamento PagoPA, (che però sui siti bancari devono essere compilati nella sezione CBILL).
Una volta individuate le modalità di pagamento, i contribuenti che hanno provato a inserire i dati evidenziati nell’avviso di pagamento PagoPA, che indicano come Ente creditore <ROMA CAPITALE> – si sono visti respingere il pagamento, con svariate formule, che comunque invitavano a chiedere chiarimenti all’Ente Creditore, Ente Creditore che, però, non ha fornito alcun chiarimento sul malfunzionamento.
Di fronte alle numerose proteste, che hanno trovato riscontro anche in articoli di stampa, sono le banche che hanno pensato bene di aiutare i contribuenti con avvisi come quello riportato sopra, per chiarire che diversamente da quanto indicato nell’avviso di pagamento, va indicato come Ente Creditore <AMA SPA – Roma Capitale> o <AMA SPA> e non <Roma Capitale>. A testimoniare quanto sia contraddittorio l’avviso di pagamento basta leggere l’indicazione, come codice fiscale dell’Ente Creditore, del codice fiscale 05445891004, che è il codice fiscale di AMA Spa.
Non si trovano ancora indicazioni sul sito del Comune di Roma, che continua a non fornire spiegazioni dei disagi causati ai contribuenti romani. Restano da capire le reali motivazioni di così tanta noncuranza dei problemi creati ai contribuenti se, come sembra, nella pratica è AMA Spa che continua a riscuotere la TARI per conto del Comune di Roma.
ULTIMORA
Soltanto oggi, 22 settembre, il Comune di Roma ha ritenuto di pubblicare indicazioni per consentire a chi paga la TARI attraverso l’home banking di riuscire a effettuare il pagamento.
Il comunicato, anziché riconoscere che i bollettini inviati ai contribuenti romani contengono informazioni contraddittorie e scusarsi per i disagi creati a migliaia di contribuenti, afferma che ‘’occorre fare attenzione affinché si proceda al corretto inserimento dei dati’’ scaricando ancora una volta sugli utenti l’inefficienza della pubblica amministrazione.
Si passa a PagoPA e si complica la vita ai cittadini: impossibile la domiciliazione bancaria per il pagamento della TaRi al Comune di Roma
Oltre centomila contribuenti romani stanno ricevendo in questi giorni dal Comune di Roma questa comunicazione:
‘Da quest’anno cambieranno le modalità di riscossione della tassa sui rifiuti – TaRi, in quanto tutti gli Enti della Pubblica Amministrazione devono adeguare i propri incassi, compresi quelli da entrate tributarie, al nuovo Sistema Pago PA.
Inoltre, non sarà più possibile utilizzare la domiciliazione bancaria, ovvero l’addebito diretto della bolletta, conosciuto anche come RID, oggi SEPA, già impiegata fino allo scorso anno per procedere ai pagamenti della suddetta tassa, in quanto, dal 2020, il beneficiario del versamento non sarà più AMA spa, bensì Roma Capitale.
Si consiglia, quindi, di dare la conseguente comunicazione alla propria banca di disdetta dell’addebito in questione, al fine di evitare possibili disguidi.
Con l’emissione della bolletta relativa alla prima semestralità TaRi – anno 2020, prevista non prima del prossimo mese di settembre, saranno fornite le nuove modalità di pagamento.”
Ora, è evidente che la domiciliazione bancaria semplifica la vita al contribuente e garantisce alla pubblica amministrazione la certezza e la tempestività dei pagamenti, e perciò andrebbe incentivata, come fa ad esempio la Regione Lombardia, che offre uno sconto del 15% ai contribuenti che scelgono la domiciliazione bancaria per il pagamento del bollo auto.
Al contrario, il Comune di Roma, anziché agevolare la possibilità della domiciliazione bancaria, nega tale modalità di pagamento, costringendo i cittadini al solo utilizzo del “Sistema Pago PA”, che costa di più al contribuente e complica la vita al contribuente e alla pubblica amministrazione.
Eppure, le scelte effettuate da altre pubbliche amministrazioni, come ad esempio il Comune di Modena, dimostrano che il “Sistema Pago Pa” può benissimo coesistere con la domiciliazione bancaria
L’associazione Comma 22 ha chiesto alla Sindaca di Roma Virginia Raggi di rivedere la decisione di escludere la domiciliazione bancaria dalle modalità di pagamento della TaRi e di garantire ai contribuenti che hanno scelto questa modalità la possibilità di continuare a usarla, così come avviene in altri comuni italiani.
Scritto da: Comma22L’inps elimina il PIN semplice da usare per accedere ai servizi: e la chiamano semplificazione
L’associazione Comma 22 lancia una petizione su Change Org per il mantenimento del PIN INPS.
Questo il testo della petizione:
Il PIN INPS è semplice da usare e va mantenuto
L’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale ha comunicato (circolare n. 87 del 17 luglio scorso) la decisione di chiudere il proprio sistema di attribuzione delle credenziali di accesso ai servizi on line, costituito da un codice identificativo personale (PIN) da associare al proprio codice fiscale: a partire dal 1° ottobre non saranno rilasciati nuovi PIN, e quelli già in possesso degli utenti manterranno la loro validità fino alla conclusione della fase transitoria.
La decisione sta creando allarme tra gli utenti dei servizi INPS, un numero estremamente elevato (nel rendiconto sociale 2018 si parla di più di 23 milioni di PIN rilasciati), che, peraltro, utilizza il PIN INPS anche per l’accesso alla dichiarazione dei redditi precompilata, e che ha avuto modo di valutare la semplicità e facilità di utilizzo del sistema PIN.
La chiusura del sistema di accreditamento tramite PIN non è motivata nella circolare da difetti del sistema, del quale, al contrario, si rivendica l’efficacia per l’accesso ai servizi on line dal 2012 a oggi, bensì da asseriti “vantaggi a favore sia delle politiche nazionali di digitalizzazione sia del diritto dei cittadini alla semplificazione del rapporto con la pubblica Amministrazione”.
Nella circolare si parla impropriamente di ‘’Switch-off del PIN INPS in favore del Sistema Pubblico di Identità Digitale (SPID)”, mentre in realtà l’accesso ai servizi on line sarà, comunque, possibile anche attraverso la Carta d’Identità Elettronica (CIE) e la Carta Nazionale dei Servizi (CNS).
I 23 milioni di PIN INPS dimostrano che in questi anni gli utenti dei servizi online, dove possibile, hanno utilizzato il PIN INPS invece dello SPID, complesso sia nella procedura di identificazione sia nella procedura di utilizzo; i circa nove milioni di credenziali SPID rilasciate dal 2016 a oggi sono il risultato – artificiale – degli interventi che ne hanno previsto l’obbligatorietà per tutta una serie di agevolazioni, dal bonus 18enni al recente bonus vacanze.
Vale la pena di ricordare che tra gli utenti dei servizi INPS ci sono, in gran parte, persone alle quali andrebbero assicurati servizi facilmente accessibili, invece di procedure – inutilmente – complicate.
Per questi motivi, chiediamo la revoca della circolare n. 87 del 17 luglio 2020 e il mantenimento del sistema di accreditamento attraverso il PIN INPS.
L’associazione Comma 22 chiede inoltre al Governo e al Parlamento lo stralcio delle norme contenute nel decreto legge “semplificazione” (decreto legge 16 luglio 2020, n. 76, art. 24) che prevedono il divieto, dal 28 febbraio 2021, per le pubbliche amministrazioni, “di rilasciare o rinnovare credenziali per l’identificazione e l’accesso dei cittadini ai propri servizi in rete, diverse da SPID, CIE o CNS, fermo restando l’utilizzo di quelle già rilasciate fino alla loro naturale scadenza e, comunque, non oltre il 30 settembre 2021″ e l’obbligo di utilizzare “esclusivamente le identità’ digitali e la carta di identità’ elettronica ai fini dell’identificazione dei cittadini che accedono ai propri servizi on-line”.
Scritto da: Comma22Bonus vacanze, ora diventa obbligatoria anche l’app IO: il cittadino al servizio della pubblica amministrazione
In contrasto con le tante belle parole che promettono di semplificare la pubblica amministrazione, mettendo al centro dell’attenzione le esigenze del cittadino, nella pratica le procedure sono costruite sulle strategie, neppure delle pubbliche amministrazioni, ma dei privati che lavorano per la pubblica amministrazione.
Ennesimo esempio è la procedura per accedere al cosiddetto ‘’bonus vacanze”, previsto dall’art. 176 del decreto legge “rilancio”.
La procedura varata somiglia a una caccia al tesoro, da intraprendere con l’ausilio di una agile guida di venti pagine e di un sintetico vademecum, reperibili sul sito dell’Agenzia delle Entrate.
Si scoprirà così che il secondo passaggio è sul sito dell’INPS, per la compilazione della dichiarazione ISEE, cui è possibile accedere con una vasta gamma di strumenti: PIN INPS, ordinario o dispositivo, Tessera Sanitaria – Carta Nazionale dei Servizi, SPID, CIE Carta d’Identità Elettronica 3.0.
Una volta compilata la DSU – Dichiarazione Sostitutiva Unica – e verificato che si è nelle condizioni di richiedere il bonus, perché l’ISEE – Indicatore della Situazione Economica Equivalente – è inferiore a 40.000 euro, viene il bello, perché dal pc bisogna passare allo smartphone, per scaricare un’applicazione mobile (app) che si chiama IO, reperibile su Google Play per i sistemi operativi Android e su App Store per i sistemi operativi IOS (Apple): reperibile si fa per dire, perché la prima difficoltà sta nel trovarla, l’app: aver scelto un nome così fa sì che se fai una ricerca digitando IO mai e poi mai arriverai a quello che cerchi se non digiti il nome esteso: ‘’IO, l’app dei servizi pubblici’’.
Cos’è IO? È uno dei progetti di Diego Piacentini, lanciato più di due anni fa per realizzare il principio del ‘’mobile first’’ e del punto unico di accesso ai servizi pubblici, cui ha lavorato il Team per la Trasformazione Digitale. Lanciato più di due mesi fa sugli app store di Google e Apple – si legge su Google Play – ha realizzato a oggi più di 50.000 download.
A fronte dell’ennesimo flop, niente di più facile, per convincere i riottosi cittadini dell’utilità dell’app, che renderla obbligatoria, continuando nello stesso tempo a drogare la crescita di SPID (Sistema Pubblico per la gestione dell’Identità Digitale). Non basta infatti scaricare l’app IO, ma su questa bisogna di nuovo farsi identificare, questa volta solo con le credenziali SPID, che sono costretti a richiedere quanti non sono in possesso di una CIE 3.0 e di uno smartphone in grado di leggerla.
Ancora una volta la nostra associazione ha chiesto che le procedure per l’accesso ai servizi delle pubbliche amministrazioni siano disegnate per semplificare la vita ai cittadini e favorirne l’utilizzo, anziché sulla base degli interessi dei privati.
Basta con SPID
Non è bastato agli identity provider, i fornitori di credenziali SPID, bloccare l’iniziativa del Governo per il superamento di SPID e la convergenza verso la Carta d’identità Elettronica come unica identità digitale per i rapporti con le pubbliche amministrazioni.
Continuano, invece, i tentativi di mantenere in vita un progetto che, a quattro anni dal suo lancio, è ormai palesemente fallito: a fronte di un obiettivo di 10 milioni di credenziali da raggiungere nel 2017, il risultato a oggi è di 6.915.215 credenziali SPID rilasciate e, soprattutto, SPID è stato totalmente ignorato dai privati, come era del resto facilmente prevedibile.
Eppure SPID è stato reso obbligatorio per richiedere il bonus diciottenni e il bonus cultura; eppure ci sono amministrazioni locali che illegittimamente impongono SPID come unico strumento di accesso ai servizi online, e non solo il Ministero dei Trasporti ha previsto SPID come unico strumento di accesso per la richiesta del bonus seggiolini, ora anche per l’accesso al bonus “mobilità”, secondo quanto comunicato dal Ministero dei Trasporti, SPID sarà previsto come unico strumento di accesso.
Eppure, nonostante tutte le obbligatorietà imposte, il risultato è di meno di sette milioni di credenziali SPID, quando sono state già rilasciate:
– 14.806.049 carte d’identità elettroniche, con relative credenziali di accesso online, al 22 maggio 2020;
– 13.549.594 credenziali per l’accesso ai servizi online ai cittadini che hanno prestato il consenso per l’alimentazione del Fascicolo Sanitario Elettronico, dato ad aprile 2020;
– 9.951.781 credenziali per l’accesso al servizio Entratel al 2 gennaio 2020;
senza contare i 23.039.740 PIN rilasciati dall’INPS al 31/12/2018, nonché i milioni di credenziali attribuite ai cittadini dagli enti locali per l`accesso ai loro servizi.
Non è più accettabile che ai cittadini sia imposta una ulteriore procedura di identificazione, che peraltro comporta l`accesso agli uffici postali anche in questo momento, in piena contraddizione con la finalità dei servizi online, che è quella di evitare spostamenti.
Anche per l’identificazione digitale dovrebbe, una buona volta, valere il principio dell’once only, recentemente richiamato dalla Ministra Dadone in risposta a una interrogazione dell’On.le Giacomelli in materia di semplificazione della pubblica amministrazione:
“In via immediata e con ripercussioni di tipo sistemico si intende intervenire sul c.d. “once only”, un principio vigente nel nostro ordinamento da molto tempo, ma evidentemente ancora inapplicato. Le pubbliche amministrazioni non devono più chiedere al cittadino e all’impresa dati e documenti che già possiedono o possono reperire da altre pubbliche amministrazioni.”
L’associazione Comma 22 ha pertanto richiesto ai Ministri competenti un intervento per porre fine alle vessazioni da SPID e procedere sui progetti a suo tempo annunciati per una identità digitale unica.
Dona il 5 per 1000 a Comma 22 per difendere i tuoi diritti
Per aiutarci a difendere i tuoi diritti dagli abusi della pubblica amministrazione e dei gestori di servizi pubblici, puoi destinare il cinque per mille dell’Irpef all’associazione Comma 22 odv: non ti costa nulla, devi solo compilare il modello 730-1, oppure le analoghe schede per la destinazione del cinque per mille allegate al modello redditi persone fisiche o alla certificazione unica, per tutti coloro che sono dispensati dall’obbligo di presentare la dichiarazione.
Per destinare il tuo 5 per 1000 a Comma 22 onlus:
- compila la scheda per la destinazione del 5 per mille;
- firma nel riquadro indicato come “Sostegno del volontariato e delle altre organizzazioni non lucrative di utilità sociale, …“;
- indica nel riquadro il codice fiscale di Comma 22 odv: 97882570589.
No alla riforma dello SPID, Governo ostaggio degli identity provider
Come era facilmente prevedibile, neppure con il decreto milleproroghe si è realizzato il superamento di SPID, annunciato il 6 settembre scorso dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte nel discorso di insediamento.
In realtà c’è stato un momento nel quale la riforma si è concretizzata per la prima volta in un emendamento del Governo, non più soltanto del Movimento 5 Stelle, subito ritirato. Peraltro, la formulazione dell’emendamento lasciava sperare finalmente in una definizione univoca delle procedure di identificazione digitale basata sulla carta di identità elettronica (CIE), superando così, in un solo colpo, lo SPID e la carta nazionale dei servizi (CNS).
La motivazione dell’opposizione, in primo luogo dei deputati renziani, è stata, ancora una volta, che così si metterebbero “a rischio gli investimenti fatti finora dagli identity provider”. Identity provider, ai quali andrebbe, ancora una volta ricordato che cosa è successo in questi quattro anni:
gli operatori impugnarono, di fronte al TAR, il primo DPCM che limitava sostanzialmente a Poste Italiane la possibilità di diventare identity provider;
avevano deciso, infatti, di di investire su SPID, valutando, erroneamente, che ci sarebbe stato un possibile mercato degli accessi ai servizi privati;
a quattro anni dal lancio di SPID, l’errore di valutazione è stato pienamente confermato.
Scritto da: Comma22SPID non vuole morire
“Lavorare perché i cittadini abbiano un’unica, riassuntiva identità digitale di qui a un anno“: così dichiarava il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, al momento dell’insediamento del governo, annunciando il superamento di SPID. In che modo non era affatto chiaro, dal momento che si parlava di una “identità digitale riassuntiva”: che cosa vuol dire, un’altra ancora? Non bastano CIE, SPID, CNS, oltre alle credenziali che quasi ciascuna pubblica amministrazione ha già rilasciato per l’accesso ai servizi online?
Tuttavia, la presa d’atto del fallimento di SPID, sia nelle dichiarazioni della ministra Pisano, sia sui mezzi di comunicazione “embedded” sembrava comunque un passo avanti.
Gli annunci di Giuseppe Conte e della ministra Pisano si sono concretizzati in due emendamenti (47.0.2 e 47.0.13) al disegno di legge di bilancio, presentati in Commissione da senatori del Movimento 5 stelle. Entrambi gli emendamenti prevedevano il passaggio della gestione delle credenziali SPID dagli identity provider privati alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, che si avvale della società PagoPA, attraverso la emanazione di appositi DPCM; il secondo emendamento perlomeno identificava con chiarezza la carta d’identità elettronica come strumento unico, a regime, per l’accesso ai servizi on line delle pubbliche amministrazioni; entrambi gli emendamenti prevedevano una spesa di 15 milioni di euro per il solo 2020, soprattutto come ristoro a favore degli identity provider per le spese sostenute per l’avvio di SPID in questi anni.
Nel momento in cui gli annunci si sono concretizzati nella presentazione degli emendamenti, gli stessi identity provider hanno diffuso un comunicato stampa attraverso l’organizzazione di categoria AssoCertificatori; il comunicato contestava le accuse di “inefficienze degli operatori di mercato” individuate dalla ministra Pisano come causa del fallimento di SPID, e lamentava, come conseguenza di una eventuale approvazione degli emendamenti, la “grave vanificazione degli investimenti fin qui stanziati dagli operatori di mercato, associata ad una importante perdita di chance, proprio nel momento in cui il servizio SPID ha cominciato a catalizzare l’interesse dei Cittadini”.
Ora, agli operatori di mercato andrebbe ricordato che la scelta di investire su SPID è stata fatta dagli operatori stessi; a suo tempo, infatti, impugnarono di fronte al TAR il primo DPCM che limitava sostanzialmente a Poste Italiane la possibilità di diventare identity provider; questa scelta era fondata sulla erronea valutazione della esistenza di un possibile mercato degli accessi ai servizi privati, rivelatosi, a quattro anni dal lancio di SPID, assolutamente inesistente. L’opposizione degli operatori di mercato, che evidentemente hanno ritenuto inadeguato lo stanziamento di 15 milioni di euro per il ristoro degli investimenti, ha contribuito probabilmente a far sì che gli emendamenti venissero respinti già in Commissione.
Nonostante l’evidente insuccesso, la ministra Pisano ha continuato ad annunciare l’imminente superamento di SPID con il Piano Nazionale Innovazione 2025, dove SPID non è neanche nominato. Il Piano è stato presentato con grande enfasi il 17 dicembre scorso, ma il ringraziamento per il contributo indirizzato a Davide Casaleggio ha fatto sì che venissero sollevate obiezioni di conflitto di interesse, che hanno alla fine rappresentato una messa in discussione dei programmi della ministra Pisano.
Ciononostante, in un tweet da Palazzo Chigi al termine della riunione del Consiglio dei Ministri la sera del 21 dicembre scorso, la ministra Pisano annunciava la caduta della “pregiudiziale sul pacchetto innovazione” e la imminente presentazione di emendamenti al decreto legge milleproroghe.
A rendere ancora più debole la posizione della ministra Pisano c’è stata infine la sollevazione di vari esponenti politici contro una intervista nella quale semplicemente si ribadiva l’intenzione di giungere a un sistema di credenziali gestito dallo Stato per l’accesso ai servizi pubblici, superando lo SPID.
In questa situazione, il disegno di legge di conversione del decreto legge milleproroghe (Atto Camera n. 2325), presentato il 31 dicembre, ha iniziato solo il 14 gennaio il suo iter in Commissione.
Nel frattempo sono i cittadini a dover fare i conti con le astruserie dello SPID e con le complicazioni che ancora vengono continuamente imposte dalle pubbliche amministrazioni.
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